Se è vero che il mestiere dell'attaccante è quella di buttarla dentro tutte le volte in cui si può, è vero anche che ciò non si rivela sempre possibile. Anche se sei uno degli interpreti più conosciuti e apprezzati del ruolo.
In Serie A, naturalmente, il discorso non fa eccezione. Nel senso che sono più di uno gli attaccanti top che nelle prime quattro giornate (ancora tre per Napoli e Pisa) non sono ancora riusciti a trovare la via della rete. E questo a prescindere dalla posizione in classifica delle rispettive squadre di appartenenza.
Perché sì, c'è il blocco dello scrittore ma c'è anche il blocco dell'attaccante. Gente che in carriera ha sempre segnato, a volte di più e a volte meno, ma che ora sta attraversando un periodo individualmente piuttosto complicato.
La partenza della Fiorentina di Stefano Pioli è stata stentata come quella della Fiorentina di Raffaele Palladino. Un anno fa la Viola aveva appena tre punti in classifica dopo quattro giornate; oggi ne ha un paio. Insomma, siamo lì.
La differenza? Che Moise Kean aveva già cominciato a lasciare il segno, seppur in piccolo rispetto a quanto avrebbe fatto per tutto il resto della stagione. L'ex bianconero aveva punito il Monza alla terza giornata e poi l'Atalanta alla quarta. Quest'anno, invece, è ancora a quota zero. La voglia di rendersi utile non manca mai, com'è nel personaggio; tutto il resto sì. E a confermarlo è anche la prova, ampiamente insufficiente, offerta domenica contro il Como.
A proposito di attaccanti della Fiorentina ancora a secco: Kean è in discreta compagnia. Perché anche Edin Dzeko e Roberto Piccoli sono ancora a secco fino a questo momento. Il che può suonare paradossale, considerando come la dirigenza gigliata abbia volutamente rinforzato l'attacco in estate, in modo da non dipendere quasi unicamente dalla vena realizzativa dell'ex juventino come nel 2024/2025.
Si era presentato ottimamente a Roma, Evan Ferguson. Acquistato dal Brighton, lo scozzese aveva impressionato positivamente nel corso del precampionato tanto da meritarsi il posto da titolare al posto di Artem Dovbyk, piuttosto fuori sincrono con Gian Piero Gasperini.
Ferguson è partito bene anche in campionato: buona prestazione col Bologna, assist per Soulé a Pisa. Poi si è inceppato. Complice la scelta di Gasperini di puntare su Dybala centravanti contro il Torino e un paio di prestazioni non esaltanti, da subentrato contro i granata e poi da titolare nel derby.
Dopo la gara dell'Olimpico, griffata da un destro vincente del redivivo Lorenzo Pellegrini, Gasperini ha detto di Ferguson, di Soulé e di Dovbyk che "hanno fatto un'ottima partita". Ma anche che "devono comunque crescere per alzare il livello della squadra, serve migliorare il livello della fase offensiva".
Che l'ex allenatore dell'Atalanta abbia ragione è testimoniato dai numeri: la Roma ha segnato tre goal - peraltro tutti decisivi - in quattro partite. Uno di Wesley, uno di Soulé, uno di Pellegrini; zero di Ferguson, ma anche di Dovbyk. Dunque, zero dei due attaccanti.
Che dire invece di Santiago Gimenez? Sembra una sorta di maledizione di Montezuma, considerando le origini del centravanti del Milan, ma è semplicemente una voglia di spaccare il mondo che non si sta traducendo in alcunché di concreto.
Gimenez ha avuto una marea di occasioni per lasciare il segno in queste prime quattro giornate, in virtù anche di una produzione offensiva collettiva piuttosto corposa da parte della squadra di Massimiliano Allegri. Ma è ancora inesorabilmente alla ricerca del primo graffio in campionato. Un inedito per uno come lui, che in Olanda col Feyenoord segnava anche con le mani. E non è questione di difese avversarie più o meno allegre, come si potrebbe pensare.
A Udine, ad esempio, Gimenez ha scialacquato il vantaggio davanti a Sava prima che Pulisic e Fofana indirizzassero la partita. Ma anche nelle giornate precedenti aveva avuto le sue belle occasioni, tutte mancate. Compreso anche il doppio palo contro il Bologna, il primo arrivato comunque con la palla già uscita oltre la linea di fondo.
A Gimenez, in poche parole, mancano tranquillità e fiducia. Non lo ha aiutato la stressante seconda parte della scorsa stagione, non lo hanno aiutato nemmeno le costanti voci di mercato, con quello scambio con Dovbyk in piedi fino all'ultimo e poi definitivamente saltato. Probabilmente tornerà a segnare, lo ha sempre fatto. Ma al momento i fatti sono impietosamente questi.
Se Kean piange, Alvaro Morata non ride. Anche lui, nel duello tra gli attaccanti andato in scena domenica al Franchi, è uscito dal campo a testa bassa. E ciò nonostante il suo Como abbia conquistato una splendida vittoria, imponendosi per 2-1 in pieno recupero.
Morata ha sempre peccato nel killer instinct nella propria carriera: non è una novità, anche considerando la sua tendenza ad arretrare la posizione per ricevere palloni e aprire spazi per i compagni. Un difetto che l'ex attaccante di Juventus e Milan ha confermato anche in queste prime giornate, mangiandosi ad esempio un goal a porta vuota contro il Genoa: errore fatale, se è vero che il Grifone ha poi trovato il pareggio in extremis con Ekuban.
Partito in panchina per far spazio a Douvikas contro Lazio e Bologna, Morata ha preso il posto del greco nelle altre due partite fin qui disputate dal Como. Ma pure lui non è riuscito a lasciare il segno. "Deve crescere, ma sono sicuro che farà bene", ha detto di lui Fabregas alla vigilia di Firenze. Una speranza condivisa da una squadra troppo spesso dipendente dalle giocate di Nico Paz.
Chi è il titolare dell'attacco della Juventus? Sarà Jonathan David o Dusan Vlahovic? Oppure Lois Openda, la sorpresa delle ultime ore di mercato dopo la conclusione negativa dell'operazione col PSG per Kolo Muani?
David e Vlahovic sono già andati a segno almeno una volta a testa (il serbo anche di più, Champions League compresa); Openda, invece, no. Anche perché lo spazio è stato quello che è stato, va detto: due spezzoni di partita contro Inter e Verona, più l'unica presenza da titolare in Europa contro il Borussia Dortmund. Gara in cui, per inciso, l'ex giocatore del Lipsia non si è neppure comportato male.
Chiaro: serve qualcosa di più anche da parte sua. Sabato al Bentegodi, ad esempio, Openda non ha prodotto un impatto quantomeno sufficiente una volta entrato in campo al posto di Vlahovic. E per chi due e tre anni fa era andato a segno rispettivamente 24 e 21 volte tra Bundesliga e Ligue 1, essere ancora a secco non rappresenta un gran biglietto da visita per superare i due concorrenti nelle gerarchie di Tudor.
Strana storia, quella di Lorenzo Lucca. L'ex centravanti dell'Udinese è arrivato a Napoli per fare la riserva di Romelu Lukaku, dopo l'infortunio del belga pensava di potersi rimboccare le maniche per prenderne il posto, e invece subito dopo la dirigenza partenopea ha prelevato Rasmus Hojlund dal Manchester United. Con Conte che ha fatto del danese il nuovo titolare.
Lucca ha battagliato contro il Sassuolo, ha sofferto contro il Cagliari. In generale, non ha dato risposte adeguate per un possibile vice Lukaku. E soprattutto non ha segnato, un peccato mortale per chi gioca di punta nella squadra campione d'Italia in carica.
Il dualismo con Hojlund è destinato in un primo momento a favorire l'ex atalantino, lui sì subito impattante all'esordio contro la Fiorentina. Lucca ha un solo modo, come Openda alla Juventus, per tentare di ribaltare le gerarchie: iniziando a segnare. Proprio come ha fatto nella stagione da doppia cifra a Udine, quella che ha convinto il Napoli a puntare su di lui.