Se è vero che la vita è un viaggio, ci sono sempre posti in cui torni volentieri. Quelli di Alessandro Florenzi hanno più terra che prato dove far scorrere la palla, grida di bambini e palazzoni tutt’intorno. Lì ha dato l’addio al calcio qualche mese fa con un video fatto col cuore, lì ha cominciato la sua avventura. "I miei gestivano un campo sportivo ad Acilia, vicino Roma. Quando uscivo da scuola andavo dietro ai container che facevano da spogliatoio, c’era uno spazietto sterrato dove passavo le mie giornate con un pallone, il triplice fischio me lo dava mia madre quando urlava che chiudevamo e dovevamo tornare a casa. Ero un bambino felice, ero piccoletto e tutti mi chiamavano Sandrino".
Un bambino felice e di talento. La volevano sia Lazio che Roma.
A cosa?
"I miei mi fecero: scegli tu, il posto in cui ti senti più a tuo agio. E appena uscito da Trigoria dissi subito: “Voglio giocare qui”. Mica pensavo che ci avrei passato quasi tutta la carriera...".
Il suo nome compare in 1039 titoli della Gazzetta, il primo: "Florenzi, la Roma ha il nuovo Pizarro".
"Giocavo vertice basso del centrocampo a tre e a quei tempi “Pek” dettava legge, rubavo da lui movimenti e giocate. Un altro che adoravo era Fabregas. Poi di ruoli ne ho fatti tanti, ero la gioia dei fantacalcisti, mi compravano e vincevano".
Ha avuto due battesimi nel calcio pro’.
"L’esordio in Serie A al posto di Totti, indimenticabile. E il prestito a Crotone, che mi ha cambiato la vita. Per la prima volta vivevo da solo e per di più in una città nuova, dovevo farmi la spesa, cucinare... cose che ti fanno diventare uomo".
Florenzi, calcio e videogames. Quella volta in Svezia con l’Under 21...
"Kalmar, 2013, playoff di qualificazione all’Europeo. Eravamo un gruppo scaramantico, in ogni trasferta una partita alla Play non poteva mancare. In hotel ci guardammo negli occhi dopo essere usciti dalle stanze, c’era un problema: le tv erano vecchie, non avevano l’attacco dei cavi. Ma a quel rito non si poteva rinunciare, facemmo una colletta, mandammo l’addetto stampa a comprare un televisore e lui tornò con una roba enorme. La scaramanzia funzionò, il giorno dopo vincemmo, segnammo io, Insigne e Immobile. Com’è, come non è, quella tv gigante ce la portammo dietro, e appena arrivati in aeroporto ci dissero che saremmo partiti in ritardo a causa di una burrasca. La attaccammo lì, tra i sedili dell’attesa, tirammo fuori la console e ci mettemmo a giocare. I videogames servivano".
"Era un gran bel modo per stare insieme. In una camera ci ritrovavamo anche in 12-13, scherzavamo, ci raccontavamo, diventavamo amici. Se in carriera ho imparato qualcosa è che quello è il segreto per vincere. Un singolo ti può fare la giocata da tre punti, ma il campionato te lo fa vincere il gruppo".
Florenzi uomo dei gol belli. Segnò in rovesciata al Genoa, Totti disse: "Se ne faccio uno così, smetto".
"Francesco può dire tutto, ha segnato reti indimenticabili, da questo punto di vista non posso manco pensare di paragonarmi a lui".
Nel 2015 segnò in pallonetto da centrocampo al Barcellona e poi il Puskas Award andò allo sconosciuto Wendell Lira...
Nei suoi anni la Roma ha sempre sfiorato la vittoria senza mai coglierla. Come mai?
"Ci rimasi male, secondo me è sbagliato il regolamento. Si parla di oggettività rispetto alla competizione, però io avevo segnato in Champions e lui in Brasile nel campionato Goiano... Mi resta la gioia di aver fatto un gol che ne vale almeno due".
"Non lo considero un demerito nostro, con Garcia e Spalletti ci siamo arrivati a un passo, eravamo attrezzatissimi. Ma ce la giocavamo con una Juve che faceva 100 punti a campionato...".
Non si lasciò benissimo con l’ambiente Roma.
"Ci sono state tante incomprensioni, ma non ho mai replicato a tutte le cose dette su di me. Ho sempre voluto far parlare il campo portando rispetto alla maglia: l’ho sudata fino all’ultima goccia, e su questo nessuno potrà mai dire niente. Ci tengo a dire che non ho mai litigato con nessuno, e quando incontro i tifosi mi ricordano con affetto".
I cinque più forti con cui ha giocato?
"Totti, Ibrahimovic, Neymar, Mbappé e Di Maria. Io sto in panchina e applaudo".
Il più matto?
"In senso buono Nainggolan, lui vale per cinque. Vive in maniera incredibile, sempre al massimo. Uno fuori dal campo può fare quello che vuole, l’importante poi è quello che fa dentro. E lui lo vedevi con quella grinta, quella ferocia, quella voglia di aiutare i compagni... Ecco, se devo andare in battaglia mi porto Radja".
Quello che vestiva peggio?
"Io, poi sono migliorato. Anzi, peggio di me c’era Manolas: me lo ricordo con una tracolla nera...".
Florenzi numerologo: come le è venuta questa passione?
"Seguendo un podcast e leggendo qualche libro. Se uno somma i numeri della sua data di nascita viene fuori una cifra da 1 a 9: a me è uscito il 7, e l’unico anno in cui ho vinto lo scudetto, al Milan, avevo il 25, 2+5 fa 7. Vede? Colleghi tante cose...".
Florenzi core de’ nonna.
"Nonna Aurora non era mai venuta allo stadio, il giorno prima della partita col Cagliari (21 settembre 2014, ndr) le dissi: ‘Se segno vengo su ad abbracciarti, non me ne frega niente’. La cosa che mi rimane ancora impressa è lo sguardo di De Rossi quando sono rientrato in campo e l’arbitro mi ammoniva. Si avvicinò e mi disse: “Hai fatto una cosa veramente incredibile. Ma se ora fai qualche cavolata e prendi un altro giallo, ti ammazzo davanti a tutti”. Mi si gelò il sangue, quando parlava Daniele parlava uno sceriffo... Dopo la partita siamo scoppiati a ridere".