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Ma Fonseca non era bollito? Esonerato al Milan, è primo a Lione. E con una squadra costata due soldi

Gazzetta

Lo chiamavano bollito e lo consideravano finito. Neppure un anno fa Paulo Fonseca portava sul volto le sembianze del fallimento: aveva salutato il Milan dopo un grigio pareggio con la Roma, a Lione aveva persino conosciuto l’onta di una retrocessione a tavolino, travolto dal caos societario e da conti fuori controllo. Da meme sui social a uomo dato per spacciato, sembrava che il destino avesse già scritto la parola fine alla sua carriera ad alto livello. E invece, oggi, eccolo lì: primo in Ligue 1 (insieme al Psg stellare), con una squadra ridotta all’osso ma capace di blindare la porta come nessun’altra in Europa. Una resurrezione sportiva che sorprenderà non poco i tifosi del Milan, perché l’addio consumato al tramonto del 2024, annunciato dallo stesso Fonseca davanti alle telecamere uscendo da San Siro, pareva davvero l’ultimo capitolo della sua storia.

A gennaio Paulo aveva scelto di ripartire da Lione, un salto nel vuoto dopo il naufragio rossonero chiuso tra rimpianti e delusioni. La sua nuova avventura francese cominciò nel peggiore dei modi: retrocessione decretata dalla Dncg, l’organo che vigila sui bilanci, esclusione dall’Europa, un’etichetta devastante cucita addosso. Sembrava una sentenza definitiva, il colpo di grazia per un club allo sbando e per un allenatore ormai considerato “bollito”. Poi lo scenario è cambiato all’improvviso: John Textor, patron discusso e ormai delegittimato, si è fatto da parte e al suo posto è arrivata Michele Kang, imprenditrice americana già a capo del settore femminile, che ha presentato un piano di rientro credibile, ha accettato i paletti su monte ingaggi e mercato e ha ottenuto la revoca della retrocessione. Ma la seconda vita dell’OL è costata carissima: l’estate ha portato via tutti i pezzi pregiati. Cherki, Mikautadze, Perri, Benrahma e persino Lacazette sono stati sacrificati per ridurre i costi. In cassa sono entrati 106 milioni, appena 36 reinvestiti. La rosa, smembrata, sembrava destinata a un campionato completamente anonimo.

In un contesto così fragile, Fonseca non si è tirato indietro. Nonostante una pesante squalifica rimediata a marzo – la furiosa lite con l’arbitro Millot che lo terrà lontano dalla panchina fino a fine novembre – il tecnico portoghese ha plasmato una squadra feroce, compatta dietro e cinica davanti: esattamente all’opposto delle fragilità mostrate un anno prima. I numeri sono tutti dalla sua: cinque vittorie in sei giornate di Ligue 1, con l’unico inciampo a Rennes in inferiorità numerica. Diciotto punti disponibili, quindici raccolti. Stesso bottino del Psg, che però ha speso tre volte tanto sul mercato. La difesa è diventata un muro: appena tre gol subiti, tutti concentrati in una sola partita, e cinque clean sheet in sei turni di campionato, sei se si considera anche l’Europa League. Con appena tre gol subiti, il Lione si piazza tra le difese più solide tra i top 5 campionati europei, al fianco di Arsenal, Crystal Palace, Milan, Bayern Monaco e Borussia Dortmund, e dietro soltanto alla Roma che ne ha incassato uno.

L’ultimo sigillo è arrivato a Lille, proprio contro l’ex squadra di Fonseca: un colpo di testa di Morton ha deciso lo 0-1 e interrotto una striscia di 60 gare consecutive dei Dogues con almeno un gol segnato, una sorta di contrappasso perché quella serie era cominciata proprio con lui in panchina. Sei mesi fa retrocesso, oggi primo e capace di blindare la porta più di chiunque altro. La media punti (1,96) racconta il miglior momento della sua carriera dopo gli anni d’oro allo Shakhtar Donetsk e restituisce la fotografia di un allenatore che ha saputo trasformare le macerie in un progetto credibile. Il Lione, dato per spacciato, ha ritrovato compattezza, entusiasmo e identità. Fonseca, dato per finito dopo il Milan, sta scrivendo la sua rivincita. Aveva bisogno di cambiare aria? Forse sì. Di sicuro, la Ligue 1 sembra cucita meglio su di lui.