Giuseppe Mascara ha iniziato a palleggiare in riva al mare. Ogni estate, con un gruppo di amici, partiva da Comiso e raggiungeva Marina di Ragusa per il solito torneo di beach soccer: "Sfidavamo chiunque, ogni città aveva la sua squadra. Stop, tiro al volo, dribbling. Ho imparato a essere decisivo su quella spiaggia". Da bambino aveva due sogni: debuttare in Champions League e vestire la maglia della Nazionale. "Ho dimostrato che pure se cresci in un piccolo paesino della Sicilia, con poche possibilità ma tanti sogni, puoi arrivare in alto". L’ex bomber del Catania non si è fatto mancare nulla in vent’anni di carriera: oltre 500 partite giocate e centinaia di gol segnati. Da allenatore però ha scelto di ripartire dai dilettanti. La sua nuova avventura è al Paternò: "Tra i professionisti è tutto più semplice, devi soltanto pensare al lavoro. Nelle categorie inferiori invece ci sono sempre problemi da risolvere: i giocatori lavorano, studiano. Impari ad ascoltarli, a stargli vicino quando serve. Diventi quasi uno psicologo. E poi la gavetta non mi ha mai spaventato".
Che situazione ha trovato al Paternò?
"La squadra è giovane e ha valori importanti, ma va sostenuta. Nel girone I di Serie D siamo in zona playout. Questo è un campionato difficile, nessuno ti regala nulla. Non ci nascondiamo, la società sta attraversando un momento complicato. Sono il quarto allenatore in tre mesi. Mi hanno chiesto di aiutarli e ho accettato".
Cosa ha chiesto alla dirigenza?
"Di avere carta bianca nella ricostruzione del gruppo. Ho bisogno di 4-5 nuovi innesti. Con la società sono stato chiaro: ci metto la faccia, ma serve lavorare bene".
Nel finale della scorsa stagione ha guidato il Novara per quattro partite. È stata la sua prima avventura da allenatore tra i pro.
"Ho lavorato in Promozione, Eccellenza, Serie D. Ormai non mi fa più paura nulla. A Novara è stata un’esperienza fantastica, seppur molto breve. Allenavo la Primavera, il club aveva bisogno di un tecnico preparato che potesse concludere il campionato senza errori. Così hanno scelto me".
Che allenatore è Mascara?
"Di certo, non uno scienziato. Il calcio è divertimento. Bisogna attaccare e rendersi pericolosi. Portare il pallone nella metà campo avversaria. Prima si arriva dall’altra parte, prima si fa gol. Altro che possesso palla e passaggi orizzontali".
Ecco perché utilizza il 4-3-3.
"Ho lavorato con Zeman alla Salernitana e Pasquale Marino al Catania, non potrebbe essere altrimenti. Quando giochi per tanti anni in quella maniera il sistema tattico ti entra in testa. Tra i dilettanti però non ci esistono soltanto schemi e allenamenti. I giocatori hanno problemi al lavoro, in famiglia. Vivono il calcio come passione, la vita è altro. Ho giocato per vent’anni, capisco subito se c’è qualcosa che non va in uno dei miei ragazzi".
La sua carriera è iniziata in spiaggia.
"Sono cresciuto a 10 minuti dal mare. Trascorrevo l’estate giocando in spiaggia dalla mattina fino al tramonto. Ho migliorato la tecnica affondando i piedi nella sabbia".
Nato a Caltagirone, cresciuto a Comiso. Ha vestito la maglia del Palermo, poi è passato al Catania. La Sicilia è nel suo Dna.
"Tutta colpa di Luciano Gaucci (ride, ndr). Mi voleva già quando ero all’Avellino in C nel 2000. Tre anni dopo l’ho raggiunto al Catania e nel 2004 mi ha chiamato anche al Perugia. Una famiglia di sani principi, ma particolarissima. Se sbagliavi, rischiavi di mandare tutta la squadra in ritiro per 20 giorni".
È vero che il presidente le dava un bonus per ogni gol segnato?
"Tra noi bastava una stretta di mano, non c’era bisogno di avere un accordo scritto".
Chi era il più simpatico in quel Perugia?
"Sedivec ne combinava una al giorno, dovevi stare molto attento. Ma quando andava in campo era uno spettacolo".
Con voi avevate pure Saadi Gheddafi.
"Una persona umilissima. Gli piaceva stare in gruppo, ascoltare. Però agli allenamenti non veniva mai".
Perché?
"Diceva di essere sempre impegnato con un altro lavoro. Noi non ci intromettevamo".
È tornato al Catania nel 2005. Contro il Palermo ha giocato tanti derby, l’emozione più bella?
"Rappresentare la città. Sai che non devi sbagliare. Vedere 6000 persone fare il tifo il giovedì all’esterno del centro sportivo ti fa capire cosa significa per la gente quella partita".
Al Palermo, il 1° marzo 2009 ha segnato un gol storico da centrocampo.
"Vincemmo 4-0 al Barbera. Segnare così, in quello stadio e durante il derby, è stato bellissimo. Fu una giocata d’istinto, non puoi preparare quel tiro. Vidi Amelia fuori dai pali e ci provai. Mi è andata bene".
Lei era in campo anche due anni prima nel derby del Massimino, quando durante gli scontri tra le tifoserie perse la vita l’ispettore Filippo Raciti.
"Quando una persona muore per colpa di una partita di calcio siamo tutti sconfitti".
Dopo Catania, il Napoli è stata l’altra tappa fondamentale del suo viaggio.
"Sono arrivato con Mazzarri nel 2010. Ho giocato in Champions contro Villarreal e Bayern Monaco. Ho condiviso lo spogliatoio con un gruppo di campioni: da Cavani e Hamsik fino a Cannavaro, Quagliarella, Lavezzi".
Zuniga ha raccontato che trascorrere una serata con il Pocho significava rischiare di finire al manicomio oppure in prigione. Conferma?
"Ha detto benissimo (ride, ndr). Lavezzi era un folle, faceva divertire tutti e aveva sempre la battuta pronta".
Nell’estate del 2009, l’allora c.t. Lippi la chiamò in Nazionale.
"Mi mandò in campo in un’amichevole contro l’Irlanda del Nord. Prima di allora nessun giocatore del Catania aveva mai vestito la maglia azzurra".
Lei ha quattro figli, tutti calciatori. Vedremo presto altri Mascara in Serie A?
"Giocano a calcio da sempre. È stata una loro scelta, non li ho mai obbligati. Devono avere passione e divertirsi, senza pensare al cognome che portano".