Tre domande a tre giornalisti di GOAL tra la quattordicesima giornata di Serie A e la Champions League: la gestione di Yildiz alla Juventus, col cambio contro il Napoli, i goal decisivi di Pulisic che regalano al Milan la vittoria e le ambizioni dell'Inter di Chivu, impegnata contro il Liverpool.
Tre domande a tre giornalisti di GOAL dopo le partite dell'ultima di Serie A, proiettandosi anche alla Champions League: le risposte di Stefano Silvestri, Alessandro De Felice e Antonio Torrisi nel nostro 3X3.
Stefano Silvestri - Intendiamoci: che un allenatore chieda di più a un calciatore, specialmente un calciatore di alto livello, è assolutamente normale. Così come, a prima vista, potrebbero anche essere considerate normali le dichiarazioni di Luciano Spalletti su Kenan Yildiz al termine della gara persa dalla Juventus a Napoli. Solo che in questo caso si fa fatica a capire il senso di tutto ciò che è accaduto. Quel “non ha fatto male, ma in certi momenti deve dare di più come tutta la squadra” appare piuttosto surreale non tanto se legato alla visione della prestazione del turco domenica sera, che rimane soggettiva, quanto in un contesto più generale.
Parlare così di Yildiz, al netto di una critica che comunque non è stata esagerata, significa puntare palesemente il mirino delle parole nella direzione sbagliata. Come se Spalletti volesse liberarsi delle proprie responsabilità, che ci sono e sono evidenti. Dalla gestione Tudor alla sua è cambiato poco, se non quasi nulla. Una vittoria di qua, un passo falso di là, il gioco che continua a latitare, una produzione offensiva che a Napoli è stata risibile, e non inganni la sconfitta di misura: la squadra di Conte avrebbe potuto vincere ben più largamente. E poi perché l’ex ct insiste con la difesa a tre? L’emergenza difensiva non può essere l’unica spiegazione. La Juve è molle in campo, confusionaria nelle alte sfere societarie, lontano ricordo della Signora che fu. I problemi sono ovunque, la classifica urla già un -7 dalle prime. E Spalletti parla di Yildiz, l’unico a tenere acceso un barlume di luce al Maradona?
Il 10 bianconero ha giocato in un ruolo che non può sentire suo, ha tenuto in partita la Juventus segnando il momentaneo pareggio, si è dato da fare. Può dare di più? Forse sì, come tutti. Ma Spalletti non ha fatto la cosa più saggia di questo mondo andando a sbandierarlo in conferenza. Sembra quasi che il tecnico bianconero si sia scaricato una parte di colpa, e se lo ha fatto lo ha fatto nei confronti del giocatore più sbagliato possibile. Proprio ora che Yildiz, dopo un periodo di appannamento e stanchezza, si è nuovamente caricato sulle spalle l’incostante e spesso malinconica Juve versione 2025/2026.
Alessandro De Felice - Se la palma di “più forte della Serie A” se la contendono in pochi e continua a dividere addetti ai lavori e appassionati, nella corsa al titolo di “più decisivo” Christian Pulisic è senza alcun dubbio chiamato in causa. E i numeri confermano il valore dello statunitense, che ieri sera ha ribaltato con la sua doppietta la sfida tra Torino e Milan e messo in ginocchio i granata di Baroni, regalando un’altra vittoria di misura alla squadra di Allegri. Finora l’ex Chelsea ha segnato 7 goal in 9 presenze, il 31,8% delle reti totali (22) della squadra di Allegri, di cui ben sei in trasferta.
Ma non sono questi gli unici dati ad impressionare: a differenza di Lautaro Martinez, con cui condivide lo scettro di miglior marcatore della Serie A nelle prime 14 giornate, il numero 11 è stato decisivo in ben 4 partite finora, consentendo al Milan di ottenere i tre punti contro Udinese (2 goal e un assist), Napoli (goal e assist), Inter nel derby e ieri sera a Torino. Certamente non può essere considerato il più decisivo in termini assoluti, ma in questo primo spaccato di Serie A Christian Pulisic sta dimostrando di essere un vero e proprio fattore con goal, assist e leadership, ma anche con la sua duttilità interpretando diversi ruoli e le richieste di Allegri alla perfezione. L’uomo in più di questo Milan che mattone dopo mattone sta dimostrando di poter essere da Scudetto. Anche e soprattutto, finora, grazie a Pulisic.
Antonio Torrisi - Negli ultimi mesi si è così tanto parlato dell'impatto psicologico causato dal 5-0 in finale contro il PSG, e più in generale da un finale di stagione che ha trasformato gli "ingiocabili" in un gruppo capace di uscire dalla Coppa Italia per mano di uno dei peggiori Milan degli ultimi decenni e di perdere lo Scudetto contro un Napoli che sembrava, a un certo punto, non poterlo vincere, che si è sottovalutato il "viceversa" di tutta questa storia. Ossia che l'Inter, in qualche modo, dopo aver perso (quasi) tutto e aver resettato, ricominciando da una nuova guida tecnica e con diversi macigni psicologici da smaltire, adesso non ha praticamente più nulla da perdere.
A Cristian Chivu, se notate, si perdona quasi tutto ciò che a Simone Inzaghi sembrava impossibile perdonare (cambi compresi), ad alcuni singoli anche quegli errori che, fino a qualche mese fa, sembravano pesantissimi. Più in generale, al di là di qualche critica spontanea, in un contesto del genere la domanda che sorge spontanea è: ma perché l'Inter, questa Inter, questo gruppo così, composto per la maggioranza da giocatori che hanno perso due finali in tre anni, non può ambire a riprovarci? Certo, direte voi: il Liverpool è già un grandissimo banco di prova per capire, poi, le reali possibilità di questa squadra, ma perché no?
Perché quanto detto negli scorsi mesi, all'indomani del 5-0, non può invece essere visto, paradossalmente, come una spinta a giocare più liberamente? Analizziamo nel concreto: l'Inter, anche con Chivu, offre un calcio "europeo". Difende meno bene rispetto a Inzaghi, forse, ma in quanto a propensione offensiva sembra più in linea con le altre, destinate, secondo i pronostici, a compiere un percorso vincente in Champions League. E allora perché no? Perché non provarci? Il Liverpool dirà. Poi ne riparleremo.