Tre domande a tre giornalisti di GOAL dopo la quarta giornata di Serie A: le risposte di Andrea Ajello, Alessandro De Felice e Antonio Torrisi nel nostro 3X3.
Andrea Ajello: Dalle parti di Torino non sono abituati a certi "post partita", quelli in cui sì, si parla di calcio giocato ma anche e soprattutto di episodi arbitrali. Igor Tudor però ha già stravolto la comunicazione della Juventus; prima dopo la sfida di Champions con il Borussia Dortmund: "L'arbitro ci ha danneggiato", poi ancora di più a seguito del pareggio a Verona: "Una vergogna, non vedevo due errori così da anni".
Se il rigore assegnato al Verona è opinabile, soprattutto la scelta del Var di richiamare Rapuano, ma comunque resta negli episodi che possono andare da una parte e dall'altra e quindi in cui una volta ti lamenti e nell'altra è il tuo avversario a protestare, molto più comprensibile è la rabbia di Tudor per la mancata espulsione di Orban. Da Yildiz a Kalulu fino a Cambiaso, la Juventus si è vista privare recentemente di giocatori per più partite a seguito di episodi simili a quello che ha coinvolto Orban. Chiedersi perché in questo caso non c'è stata l'espulsione - che avrebbe cambiato l'andamento del match con ancora un tempo da giocare - è legittimo, forse doveroso.
Ciò che stona molto di più nelle parole di Tudor sono le lamentele sul calendario e i giorni in meno che i bianconeri avuto rispetto al Napoli per affrontare il triplo impegno campionato-champions-campionato. Tudor allena la Juventus, ovvero un club che ha sempre così tanti impegni. Giocare ogni tre/quattro giorni è la normalità e sottolineare così tante volte questo aspetto diventa di fatto un alibi per la squadra e per il suo lavoro.
Se anche dovesse avere ragione nel merito, comunque, lo si vedrà con il proseguo della stagione. Ma soprattutto, se la rosa è incompleta e non strutturata in alcuni reparti per affrontare la doppia competizione la colpa non è del calendario...
Alessandro De Felice: Un mix perfetto. Un concentrato di qualità e quantità. L’inserimento nelle ultime ore della finestra estiva di calciomercato di Adrien Rabiot nella rosa a disposizione di Allegri ha completato il puzzle del centrocampo rossonero. Un tassello fondamentale e un’operazione che ha aggiunto un altro titolarissimo ad un reparto già ben fornito. In attesa di scoprire Jashari, inseguito a lungo e acquistato dopo una trattativa infinita col Club Bruges, il Milan di Massimiliano Allegri può godersi le geometrie di Modric, gli inserimenti di Rabiot e la capacità di fare filtro di Fofana.
Un reparto completo, che al momento lo eleva a migliore in questa Serie A per quantità e qualità, con il mescolamento perfetto di tutte le componenti per creare il mix ideale. Una batteria nella quale anche le alternative - come Ricci, Loftus-Cheek e lo stesso Jashari - sono di assoluto livello. A differenza di Napoli, Inter e Juventus, Allegri può contare su un reparto in cui i vari Modric, Rabiot e Fofana rappresentano l’eccellenza rispettivamente in termini di costruzione, inserimento e interdizione.
Una macchina perfetta che sta già dando i primi risultati, in una zona di campo fondamentale nell’andamento delle gare, garantendo l’apporto necessario sia in fase offensiva, a sostegno degli attaccanti, che in fase difensiva, schermando la difesa e impedendo agli avversari di attaccare l’area di rigore. Ora la grande sfida di Allegri e della sua squadra sarà quella di mantenere alto il rendimento nel corso di tutta la stagione. Un fattore determinante nel definire quale sarà il ruolo che reciterà il Milan in questo campionato di Serie A.
Antonio Torrisi: Allora, allora. Perché qui le premesse devono essere chiare: Francesco Pio Esposito è un talento non dell'Inter, ma del calcio italiano. Va protetto, a volte pure "coccolato" (?), in ogni caso su di lui bisogna puntare. E fin qui, ci siamo. Fin qui, però. Oltre... si esagera. E allora riepiloghiamo: quanti, interisti e non, lo volevano vedere in campo al Mondiale per Club? Tanti. Ha giocato benino, non sempre eccellendo, ha pure segnato. Ok. Quanti lo volevano vedere in campo in Serie A? Tanti anche qui. Ha giocato benino, non sempre eccellendo pure in questo caso, senza segnare. Poi è venuto il turno della Champions League: quanti volevano vederlo in campo contro l'Ajax? Tutti: ha giocato una partita onesta, positiva perché all'esordio non è mai facile, applausi, baci e belle parole. È forte? Potenzialmente sì: ma se l'avesse fatta Marko Arnautovic una serie di prestazioni del genere, cosa si sarebbe detto?
Chiaramente, lo preciso, è una provocazione: tra Pio Esposito e Arnautovic c'è un gap anche solo anagrafico abissale. Ma quindi, e qui mi rivolgo a chi legge, quale deve essere la regola per giudicare la prestazione di un giocatore? L'impatto sul gioco rapportato all'età e all'esperienza? O la sostanza? Facendo un esempio specifico, se alla seconda in Champions fa la stessa prova vista ad Amsterdam, cioè senza goal, ma con qualche spunto interessante, questa verrà giudicata sempre positivamente com'è stato, con applausi, baci e belle parole, o verrà catalogata come una prestazione sufficiente e nulla più?
E allora eccoci. L'hype è un conto: il fatto che la mancanza di talenti "puri" tra i giocatori italiani in avanti negli ultimi 15 anni abbia reso un attaccante come lui, potenzialmente forte, uno dei pochi fari di speranza e di salvezza non deve farci perdere di vista la concretezza del ruolo di Pio Esposito. Un attaccante deve segnare. A 20 anni quelli "forti forti" segnano pure in Premier League o Bundesliga. Magari gli basterà sbloccarsi e ce lo auguriamo, ma il rischio di travolgerlo di aspettative coccolandolo un po' troppo è alto. Ci siamo già passati con un altro Esposito, suo fratello Sebastiano, che non ce ne voglia, ma potenzialmente non aveva il talento di Francesco Pio. Sarebbe un peccato ritrovarci tra qualche anno a ricordare anche l'attuale attaccante dell'Inter come un "What if" su cui ci eravamo sbagliati.