Nei tornei di poker, lo showdown è l’azione con cui due o più giocatori rivelano le proprie carte (hole cards). Devono farlo quando c’è una situazione di all-in/call oppure quando la mano è arrivata alla conclusione. Nel caso del Texas Hold’em, la forma di poker americano più giocata nel mondo, la mano si conclude alla quinta carta del board, il river: una volta girata e terminato l’ultimo round di puntate, i giocatori ancora attivi mostrano le proprie hole cards per confrontare i punteggi, con il più alto che si aggiudica il piatto.
La meccanica dello showdown è chiara: l’ultimo giocatore ad aver mostrato aggressività, puntando o rilanciando, deve rivelare per primo le proprie carte. Se invece sull’ultima street non c’è stata un’azione aggressiva, cioè tutti i giocatori hanno fatto check, si segue l’ordine naturale di gioco, partendo da chi è più vicino al bottone in senso orario.
Esiste però una situazione particolare, prevista dalla versione più recente del regolamento TDA (Tournament Directors Association): l’auto-muck. In parole povere, il giocatore che dovrebbe mostrare per primo può decidere di non farlo e muckare le sue carte, cioè consegnarle al dealer senza rivelarle, rinunciando di fatto al pot. Questa mossa si verifica soprattutto quando l’aggressore è in bluff e non vuole mostrarlo all’avversario che ha fatto call. È una mossa legale, ma non sempre consigliabile, perché a volte può costare cara.
Questa situazione si è verificata durante il Main Event dell’European Poker Tour (EPT) di Barcellona 2010, settima stagione del circuito. Si tratta di una mano curiosa, quasi paradossale, e diventata molto famosa. I protagonisti sono due giocatori di alto livello: Giuseppe Pantaleo, professionista tedesco di origini italiane che vanta più di 150 in the money, e lo spagnolo Jesús Cortes Lizano, ancora più affermato all’epoca, grazie alle vincite molto alte realizzate nei tornei High/Super High Roller.
Siamo al tavolo finale, i blinds sono 40.000/80.000. Tutti foldano fino a Pantaleo, che da bottone apre a 165.000 chips con J♦8♠. Cortes Lizano difende il suo big blind con J♥10♥. Il flop è 2♣ Q♠ 6♣. Nessuno dei due prende l’iniziativa: entrambi fanno check, lasciando che la Q♣ arrivi al turn.
Qui cambia tutto: Cortes Lizano decide di prendere il controllo del piatto puntando 230.000 chips, circa metà del piatto. Pantaleo chiama. Il river è un 2♥. Di nuovo lo spagnolo esce puntando, stavolta 330.000. Il colpo sembra destinato a concludersi lì, ma Pantaleo rilancia fino a 790.000. Un raise che profuma di bluff, ma invece di foldare o controrilanciare, Cortes Lizano sorprende tutti: chiama.
A questo punto, tutti si aspettano che Pantaleo, in quanto ultimo aggressore, mostri le carte per primo. Invece no. Fa muck, getta le carte senza rivelarle, probabilmente convinto che l’avversario abbia una mano migliore.
Ma c’è un problema: entrambi i giocatori avevano J-high come miglior punto, e il board non offre possibilità di vittoria per nessuno. Il piatto andava diviso, era uno split pot, ma Pantaleo, con quell’auto-muck, ha regalato tutto a Lizano. Non solo: ha perso anche il diritto di vedere le carte dell’avversario, che a quel punto non è più obbligato a mostrarle, secondo regolamento.
Un errore di valutazione piuttosto grave per un final table dell’EPT, probabilmente dettato dal tilt o dalla stanchezza. Di sicuro un caso raro ma emblematico del perché nel poker ogni dettaglio conta, soprattutto quando ci si gioca la gloria e un premio importante. Alla fine, Pantaleo uscirà in 5ª posizione, portando comunque a casa 170.000 euro. Cortes Lizano andrà molto più lontano, fino all’heads-up finale, dove però dovrà arrendersi allo svedese Kent Lundmark. Il secondo posto gli varrà 525.000 euro.
Chissà se Giuseppe Pantaleo ha imparato la lezione. In caso contrario, potrebbe tornargli utile un vecchio detto: meglio arrossire prima che impallidire dopo.