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Atalanta-Inter è anche il duello dei bilanci: la Dea è un modello, ma Oaktree è in crescita

Gazzetta

L'una vanta bilanci in attivo da quasi un decennio, l’altra ha da poco festeggiato il primo utile della sua storia. L’una ha acquistato lo stadio nel 2017 e ne ha completato la ristrutturazione nel 2024, l’altra ha appena firmato il rogito e punta a giocare nel nuovo impianto nel 2031. Semplicemente, l’Atalanta è avanti. Certo, l’Inter è l’attuale leader italiana per fatturato (546 milioni nel 2024-25, record in Serie A) e per risultati in Champions League (due finali nelle ultime tre stagioni) e il suo marchio ha un respiro globale. Però, nel suo piccolo, che ormai è diventato grande, il club di provincia ha tracciato una strada da seguire per il nostro calcio, divorato dai debiti e dalla miopia, grazie anche — va detto — a un contesto che rende più agevole lavorare su un orizzonte di lungo periodo: Bergamo, in termini di aspettative e pressioni, non è Milano.

Stasera Atalanta-Inter alla New Balance Arena mette di fronte due realtà inevitabilmente diverse, ma con alcuni punti in comune. La famiglia Percassi, mantenendo le redini della governance (Antonio presidente, Luca amministratore delegato), ha ceduto nel 2022 il pacchetto di maggioranza alla cordata statunitense guidata da Stephen Pagliuca, investitore nel campo del private equity e senior advisor del fondo Bain Capital. Nel 2024 è toccato all’Inter passare sotto la bandiera a stelle e strisce. Oaktree, azionista di riferimento, è un fondo differente, specializzato nell’area “stressed-distressed”, cioè in quelle operazioni dal maggiore grado di rischio, ma l’atto di indirizzo imposto all’Inter è lo stesso dell’Atalanta: gestione sostenibile, con investimenti funzionali alla crescita della squadra e del club. Nel primo esercizio sotto la sua gestione, è arrivato un utile da 35 milioni, dopo il deficit di 36 del 2023-24 e le copiose perdite a cavallo del Covid (488 milioni nel triennio) che avevano costretto alla resa la famiglia Zhang. Il merito del segno più va ricondotto principalmente alla ricchissima campagna Champions, che ha portato 190 milioni di proventi tra premi Uefa, botteghino e sponsor, e al gettone del Mondiale per Club (31 milioni): abbattuto così il muro del mezzo miliardo di ricavi. Inoltre, negli ultimi anni Beppe Marotta aveva operato tagli netti alla rosa, realizzando risparmi vicini al centinaio di milioni tra stipendi dei tesserati (a quota 219 milioni nel 2024-25) e ammortamenti (61).

Anche l’Atalanta, nell’ultima stagione, ha registrato il primato di ricavi: 199 milioni, 39 in più dell’anno precedente. Se il trionfo in Europa League aveva portato 36 milioni, la partecipazione alla Champions League ne ha assicurati 67. Lo sviluppo organico della società bergamasca ha consentito di alzare gradualmente l’asticella della spesa, con gli stipendi dei tesserati saliti a 113 milioni e gli ammortamenti a 68, superando l’Inter. D’altronde, nell’ultimo quinquennio l’Atalanta ha mobilitato mezzo miliardo di investimenti nelle campagne trasferimenti: 133 solo nel 2024-25, spendendo 25 per Retegui, 24 per Bellanova, 22 per Samardzic, 19 per Kossounou, eccetera. Ha potuto farlo perché la specialità della fabbrica, ossia la valorizzazione del talento, genera denaro senza soluzione di continuità. Negli ultimi cinque anni le acquisizioni sono state pareggiate dai proventi del player trading. Esemplare l’operazione Retegui, venduto un anno dopo l’acquisto per più del doppio: la plusvalenza da 41 milioni, iscritta nel bilancio 2025-26, contribuirà all’ennesimo utile.