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Meglio di Pelé e Maradona! Per il “quinto Beatle”, il calcio divenne troppo presto un dettaglio secondario

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Rebel United presenta quei giocatori che hanno preferito andare controcorrente. Parte 8 dedicata a George Best – il miglior calciatore del mondo, almeno finché qualcos’altro non diventò per lui più importante.

Nel 1969, a 23 anni, George Best decise che era arrivato il momento di concentrarsi solo su ciò che contava davvero. Solo il calcio, solo il suo lavoro. Per questo si impose di rinunciare alle altre due grandi passioni della sua vita: l’alcol e le donne. 

Il suo bilancio, però, fu piuttosto amaro: "Sono stati i peggiori 20 minuti della mia vita".

In quel periodo Best era all’apice assoluto della carriera. L’anno precedente aveva trascinato il Manchester United al suo primo trionfo in Coppa dei Campioni, era stato capocannoniere in Inghilterra e aveva conquistato il Pallone d’Oro. 

Ma se in campo collezionava dribbling spettacolari, gol a raffica e trofei pesanti, fuori dal rettangolo di gioco accumulava feste, drink e avventure sentimentali.

Il suo doppio volto – fuoriclasse geniale sul prato verde e playboy irrefrenabile nella vita privata – in quei tempi riusciva ancora a convivere. Ma sarebbe presto arrivato il momento in cui quell’equilibrio fragile avrebbe iniziato a cedere.

"CREDO DI AVER TROVATO UN GENIO": BEST AL MANCHESTER UNITED

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“1969, aveva allora 23 anni, e George Best voleva concentrarsi soltanto sull’essenziale. Solo il calcio, solo il suo lavoro. Per questo decise di allontanarsi dalle sue altre due grandi passioni: l’alcol e le donne. Il suo bilancio, disarmante nella sua sincerità: ‘Sono stati i peggiori 20 minuti della mia vita’.”

Best si trovava all’apice della carriera. Un anno prima aveva trascinato il Manchester United alla prima vittoria della sua storia in Coppa dei Campioni, era stato capocannoniere in Inghilterra e aveva vinto il Pallone d’Oro. Ma così come collezionava dribbling spettacolari, gol a raffica e trofei sul campo, fuori accumulava feste, drink e relazioni. All’epoca quella doppia vita scintillante, divisa tra superstar del calcio e icona da copertina, reggeva ancora. Ben presto, però, tutto sarebbe precipitato.

George Best nacque nel 1946 a Belfast, capitale dell’Irlanda del Nord, e crebbe in un quartiere operaio. A 15 anni venne scoperto dallo scout del Manchester United Bob Bishop, che scrisse all’allora allenatore Matt Busby una frase rimasta celebre: “Credo di aver trovato un genio.” E ci aveva visto giusto.

Busby stava ricostruendo la sua seconda grande squadra, dopo che la prima era stata tragicamente spazzata via nel disastro aereo di Monaco del 1958. La seconda, quella nuova, avrebbe raggiunto il trionfo. Best debuttò nel 1963, a soli 17 anni, e in breve tempo formò con Denis Law e Bobby Charlton il tridente più temuto d’Inghilterra. Li chiamavano “The Holy Trinity”, la Santissima Trinità: oggi le loro statue svettano insieme davanti all’Old Trafford.

Nel 1965 e nel 1967 lo United vinse il titolo inglese. Nel 1968 – esattamente dieci anni dopo la tragedia di Monaco – sollevò finalmente la Coppa dei Campioni tanto attesa. Best aprì le marcature nei supplementari della finale contro il Benfica, portando avanti i Red Devils. Alla fine fu 4-1.

FRASI CELEBRI E COMPLIMENTI DI PELÉ

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Best era ormai molto più di un semplice calciatore. Le sue imprese sportive, unite al suo stile di vita ribelle, alle sue fughe notturne, ai capelli lunghi e alle battute iconiche, emanavano un fascino unico. Era uno dei primissimi calciatori a diventare una star globale, “il quinto Beatle”, una vera sensazione. 

Negli anni Sessanta, ancora segnati da una rigida impostazione sociale, incarnò — proprio come molte rockstar — il simbolo di un’epoca che stava cambiando. E Best sapeva perfettamente come giocare con la propria immagine.

“Se dovessi scegliere tra segnare un gol dai 40 metri ad Anfield o andare a letto con Miss Mondo, sarebbe una decisione difficile”, disse una volta Best. “Per fortuna, ho fatto entrambe le cose.” 

Oppure: “Ho speso gran parte dei miei soldi in alcol, donne e auto veloci. Il resto l’ho semplicemente sperperato.”

Così rapido era stato il suo successo, così rapida fu la sua caduta. Il trionfo in Coppa dei Campioni rimase il suo ultimo grande titolo. Da lì in avanti, le priorità di Best si spostarono sempre di più lontano dal campo da gioco e sempre più verso la vita notturna. 

Un’altra birra qua, un’altra Miss World là. Perdeva equilibrio, direzione. E troppo presto il calcio divenne per lui un aspetto secondario. Un vero peccato, perché Best era un talento assoluto. “Il migliore che abbia mai visto”, disse Pelé. E Best rispose che quelle parole erano “il più grande riconoscimento della mia vita”.

100 MILA PERSONE AL FUNERALE

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Best cominciò a presentarsi agli allenamenti visibilmente alticcio. Nel 1972 l’allenatore dello United, Tommy Docherty, lo sospese. Nel 1974, a soli 27 anni, giocò la sua ultima partita con lo United. Per dieci anni girovagò tra club minori in Inghilterra e negli Stati Uniti: i riflettori ormai lo seguivano solo fuori dal campo.

La dipendenza dal gioco d’azzardo lo condusse alla rovina finanziaria; l’alcolismo, a quella fisica. Il matrimonio andò in pezzi, così come i suoi tentativi di gestire nightclub e boutique alla moda. Il Natale del 1984 lo trascorse in carcere: aveva guidato ubriaco e litigato con un agente.

Per anni la sua salute peggiorò. Nel 2002 subì un trapianto di fegato, ma continuò a bere. Vent’anni fa, nel novembre 2005, George Best morì a 57 anni per insufficienza multiorgano. Centomila persone parteciparono al funerale a Belfast; l’orazione funebre fu tenuta dall’allora primo ministro britannico Tony Blair. 

A Manchester e nella sua città natale si ripete ancora: "Maradona good, Pelé better, George Best":