Qualche rimpianto è lecito, viste le sbandate delle ultime settimane di Napoli e Inter, ma la stagione della Dea resta di alto profilo: Gasperini ha centrato la Champions con largo anticipo, chiudendo con cifre molto simili all'Inter per quanto riguarda goal fatti e goal subiti.
Le undici vittorie consecutive tra ottobre e dicembre, striscia da record per i nerazzurri in Serie A, restano una mini-impresa all'interno di un campionato vissuto quasi sempre a ridosso della vetta, allontantasi definitivamente solo col trittico di sconfitte con Inter, Fiorentina e Lazio d'inizio primavera.
Tra i meriti del Gasp ovviamente l'aver trasformato Mateo Retegui in una macchina da goal: per il capocannoniere della Serie A sarà un'estate caldissima...
Vincenzo Italiano ha vinto una sfida che sembrava essere impossibile: far meglio del Bologna di Thiago Motta. A conti fatti non è stata bissata la qualificazione in Champions solo perchè, inevitabilmente, la Coppa Italia ha monopolizzato i pensieri dei rossoblu, senza dimenticare che fino a gennaio gli impegni europei avevano tolto qualcosina alla squadra sul piano psicofisico.
Una sola, rocambolesca, sconfitta al Dall'Ara in tutto il campionato, il successo contro l'Inter a Pasqua ad impreziosire la stagione: difficile davvero chiedere di più a Orsolini e compagni, considerando anche che, al netto dell'esplosione di Ndoye e Castro, questa squadra lo scorso anno aveva in più Calafiori, Zirkzee e Saelemaekers. La linea è tracciata: il Bologna ha tutto per continuare a confermarsi ad alti livelli e diventare la "nuova Atalanta".
36 punti, come lo scorso anno, ma stavolta senza soffrire per centrare la salvezza, raggiunta alla penultima giornata con la netta e convincente vittoria nello scontro diretto con il Venezia: ma il Cagliari di Nicola non è mai stato tra le maggiori indiziate alla retrocessione, a differenza della stagione 23/24.
Un andamento un po' discontinuo ma che è bastato ai sardi per garantirsi ancora un posto nella massima serie. Grazie anche alla crescita di Piccoli, all'esplosione di Zortea, all'innesto fondamentale di Caprile a gennaio. Chiedere di più a Nicola era forse ingiusto: il piazzamento finale rispecchia verosimilmente il valore effettivo della rosa.
La sensazione è quella di aver assistito all'inizio di qualcosa di grande: del progetto Como, club destinato nei prossimi anni ad entrare in maniera prepotente nei giochi qualificazione all'Europa dopo questo promettentissimo decimo posto, del percorso di Cesc Fabregas come allenatore, dell'escalation di Nico Paz verso l'elite mondiale.
Dopo essere stato un fuoriclasse in campo, lo spagnolo ha dimostrato al suo primo anno in Serie A di poter diventare un top assoluto anche in panchina. Per larghi tratti il Como è stato tra le squadre più appaganti dal punto di vista estetico, in particolar modo dopo la rivoluzione di gennaio che ha permesso a Cesc di avere giocatori più affini alle sue idee di calcio. E Nico Paz è stato, senza ombra di dubbio, il talento più luminoso del campionato.
Dopo quattro anni l'Empoli torna in Serie B al termine di una stagione dai risvolti decisamente inattesi vista l'ottimo avvio di campionato dei ragazzi di D'Aversa, che avevano chiuso il girone d'andata a metà classifica. Ma la crisi, profondissima, di risultati era iniziata già a dicembre, con una serie negativa di 20 partite senza vittorie che ha risucchiato gli azzurri nelle sabbie mobili. Neanche il doppio sussulto con Parma e Monza è bastato ad eludere il destino di una retrocessione sancita all'ultima giornata con la sconfitta contro il Verona. Il bel cammino in Coppa Italia non basta certo per salvare una stagione di grandi rimpianti.
Era lecito attendersi di più dalla Fiorentina di Palladino, che sembrava costruita ed indirizzata verso traguardi più ambiziosi e che invece è riuscita ad acciuffare l'Europa solo all'ultimo respiro. Il mercato estivo resta uno dei migliori dell'intera Serie A: Kean è stato, insieme a Retegui, il miglior attaccante del campionato, De Gea e Gosens sono tornati ai loro livelli, Adli e Fagioli si sono rivelati preziosi. Ci si aspettava decisamente di più da Gudmundsson, ma l'islandese ha vissuto un'annata tribolata, tra pensieri extracampo e problemi fisici. Ma a conti fatti, con la rosa a disposizione e considerando i punti persi in maniera scriteriata nell'ultimo mese contro Parma e Venezia, la Viola poteva sicuramente scalare qualche posizione in classifica ed giocarsi fino alla fine un piazzamento Champions.
Tra gli allenatori entrati in corsa, solo Ranieri ha fatto meglio di Patrick Vieira, che in poco tempo è riuscito a dare equilibrio e solidità al Genoa, centrando con largo anticipo una salvezza non cosi scontata. Senza nulla togliere a Gilardino, il cambio in panchina è stato provvidenziale per il Grifone, che aveva iniziato la stagione in maniera tremenda, accusando il colpo della doppia cessione di Gudmundsson e Retegui: il francese ha saputo trovare nuove soluzioni, rilanciare giocatori che sembravano finiti ormai nel dimenticatoio e, col passare delle settimane, inserire anche giovani interessanti per il futuro.
Adesso però toccherà alla proprietà blindare Vieira: la permanenza dell'ex leggenda dell'Arsenal potrebbe davvero aprire nuovi scenari per le ambizioni di questo Genoa.
Sacrificare tutto sull'altare di un sogno chiamato Champions: l'Inter ha scelto una strada rischiosissima e i risultati, in attesa di Monaco, sono stati spietati nei confronti dei nerazzurri. Un campionato decisamente al di sotto delle potenzialità della rosa di Inzaghi, che in nome del turnover scientifico in ottica Europa ha spianato la strada al Napoli con una serie di passaggi a vuoto imperdonabili. Dall'1-1 col Monza a settembre al 2-2 con il Parma ad aprile, dalla doppia sconfitta con Bologna e Roma che ha indirizzato la stagione al sanguinoso pareggio subito in extremis contro la Lazio, colpo di grazia sulle speranze dei nerazzurri. Ma a pesare è stato anche il rendimento balbettante negli scontri diretti, con i nerazzurri in grado di battere solo l'Atalanta tra le prime quattro della classe.
Il -13 finale rispetto alla classifica dello scorso anno non fa che evidenziare il downgrade in Italia. Ma non è ancora finita: la finale di Champions League inevitabilmente condizionerà il giudizio sulla stagione dell'Inter di Inzaghi. Che può diventare magica o estremamente deludente.
L'obiettivo (minimo) è stato raggiunto: la Juventus disputerà la prossima Champions League ma questo quarto posto - viste le premesse iniziali, le aspettative della piazza, gli investimenti di mercato e il blasone del club - non è certo un traguardo da festeggiare. Tudor è riuscito a guidare in porto la nave, dopo che Thiago Motta sembrava aver perso la bussola, salvando la stagione e permettendo alla società di programmare il prossimo anno con i fondamentali introiti della Champions.
Sul giudizio del campionato e della stagione dei bianconeri non va dimenticata la voragine aperta dall'infortunio di Gleison Bremer, che con le sue qualità avrebbe senza ombra di dubbio garantito maggior solidità al reparto arretrato, come dimostrato ad inizio anno. Con lui la Juve non avrebbe lottato per lo Scudetto probabilmente, ma avrebbe sicuramente centrato la Champions con qualche giornata d'anticipo ed evitato qualche brutto scivolone.
Una sola vittoria nelle ultime undici gare casalinghe: è qui che la Lazio di Baroni ha completamente rovinato un campionato che per larghi tratti era stato di ottimo livello. Il tecnico toscano è riuscito in poco tempo a tracciare una nuova strada da percorrere dopo un'estate tribolata, caratterizzata da tante partenze importanti, ma nelle ultime settimane qualcosa si è inceppato e l'epilogo è stato amarissimo. Biancocelesti fuori dalle Coppe dopo 8 anni, un risultato che inevitabilmente influisce sul giudizio complessivo, pur riconoscendo a Baroni le attenuanti di una coperta apparsa troppo corta soprattutto in alcuni reparti.
Quando ormai non ci credeva quasi più nessuno, Marco Giampaolo è riuscito nell'impresa di centrare la salvezza con un Lecce che ha lottato con le unghie e con i denti nell'ultimo mese per rimediare a una serie di prestazioni decisamente insufficienti collezionate durante tutto l'anno. Ma alla fine, con i 7 punti conquistati nelle ultime tre giornate, e in particolar modo con il colpaccio a Roma contro la Lazio, i giallorossi hanno legittimato il risultato, garantendosi la permanenza nella massima serie. I goal di Krstovic (destinato a salire di livello nel prossimo mercato), le parate di Falcone e tanto cuore: una salvezza che ha dell'incredibile.
Per l'anno da incubo del Milan sono già stati spesi tanti aggettivi, ma è stato quasi un disastro annunciato: da Fonseca a Conceiçao la musica non è cambiata, per una squadra che è rimasta schiacciata dai suoi limiti strutturali e dalla mancanza di leader d'esperienza nello spogliatoio, dopo gli addii a Kjaer e Giroud.
Dal secondo posto della scorsa stagione al peggior piazzamento dell'ultimo decennio, fuori dall'Europa senza mai lottare per davvero per un obiettivo concreto. Un crollo verticale che non ammette giustificazioni: dalla proprietà alla dirigenza, dagli allenatori ai calciatori, nessuno può essere risparmiato dalle critiche. Bisognerà ripartire, in fretta, con un nuovo progetto e una nuova guida tecnica: probabilmente senza Reijnders, il miglior rossonero della stagione, che sembra destinato ad essere sacrificato per fare cassa.
Come nel caso del Milan, anche per il Monza le premesse non erano delle più rosee: ci si aspettava che i brianzoli potessero essere tra le squadre chiamate a lottare per non retrocedere, ma in pochi potevano immaginare ad inizio stagione che i biancorossi avrebbero sfiorato il record negativo di punti in Serie A.
La staffetta tra Nesta e Bocchetti è servita solo a creare ulteriore confusione in un gruppo che si è dimostrato non all'altezza della massima serie: troppo pesanti le cessioni di Di Gregorio e Colpani in estate e di Marì e Maldini a gennaio. La pagina più brutta della straordinaria carriera di Adriano Galliani: il futuro, sia dal punto di vista sportivo che societario, è tutto da scrivere.
Again: Antonio Conte ci è riuscito di nuovo. Il quarto Scudetto della storia del Napoli è indubbiamente il più sofferto della carriera del tecnico salentino, giunto al quinto tricolore conquistato nelle sue ultime sei stagioni in Serie A. Ha raccolto in estate un Napoli completamente sgretolato dopo l'impensabile decimo posto da Campione in carica e ha ricostruito in poco tempo una squadra da Scudetto, nonostante l'inizio da incubo con quel 3-0 subito a Verona che sembrava presagire tutt'altra stagione per gli azzurri. Ma Conte è cosi, si esalta nelle difficoltà e sa conquistare rapidamente il gruppo. Ha perso Osimhen, ha perso Kvaratskhelia a gennaio, ha dovuto fare a meno lungo il cammino di tanti infortunati ma è sempre riuscito a tenere squadra e piazza sotto controllo. E alla fine, nonostante una rosa decisamente inferiore a quella dell'Inter, ha centrato un tricolore quasi miracoloso. Oltre ogni limite, oltre ogni aspettativa: un Napoli non indimenticabile dal punto di vista del gioco, ma che per il suo spirito resterà nella storia del calcio italiano.
Dalla costante ma talvolta effimera ricerca estetica di Pecchia alla solida ed efficace cura Chivu: il cambio in panchina si è rivelato essere la svolta decisiva della stagione del Parma, che è riuscito ad evitare la retrocessione raddrizzando la rotta con l'arrivo del tecnico rumeno. Un anno di alti e bassi, con diverse ottime prestazioni e tanti punti gettati alle ortiche per ingenuità o errori di gioventù. Ma il gruppo ha alcune individualità di sicuro avvenire, come Bonny, Bernabé (la cui assenza per infortunio ha pesato non poco), Leoni e Suzuki, senza dimenticare l'uomo della salvezza, Jakub Ondrejka, che in 13 presenze ha segnato 5 goal pesantissimi contro Inter, Lazio e Atalanta, regalando cinque punti vitali ai gialloblu.
Continuare a scrivere pagine di storia a 73 anni: Claudio Ranieri ha seguito il cuore, ha accantonato momentaneamente la tranquillità della vita da nonno full-time, ed è tornato a casa per risolvere i problemi di una squadra e di una società che aveva visto da vicino il baratro e che alla fine è tornata ad accarezzare le stelle.
Il quinto posto, miglior piazzamento delle ultime cinque stagioni, è un risultato assolutamente impensabile, incredibile, clamoroso, considerando lo stato dei giallorossi prima del ritorno di Sir Claudio e la serie di imperdonabili errori commessi a tutti i livelli, dall'esonero prematuro di De Rossi alle surreali dimissioni d Lina Souloukou all'incomprensibile nomina di Juric. La qualificazione in Champions sarebbe stata un'impresa seconda solo alla Premier League vinta col Leicester, ma il lavoro di Ranieri resta ugualmente eccezionale.
Uno dei tecnici rivelazione della stagione: Kosta Runjaic si è subito calato perfettamente in un campionato estremamente insidioso come la Serie A e in una realtà, quella friulana, reduce da un periodo non propriamente sereno. Dopo aver rischiato grosso nell'annata precedente, l'Udinese ha centrato una salvezza tranquilla, senza mai essere davvero coinvolta nei discorsi di bassa classifica.
Merito del tecnico tedesco, che ha scelto la strada del pragmatismo soprattutto quando è venuto a mancare l'uomo di maggior talento dell'undici-tipo, Florian Thauvin, colui che riusciva a dare quel tocco di imprevedibilità alla manovra. Runjaic ha saputo inoltre valorizzare Lucca, asset fondamentale per il club, e gestire in maniera impeccabile quel momento di insubordinazione del suo bomber sul famoso rigore contro il Lecce.
Chi si aspettava una crescita post-Juric è rimasto deluso: il Torino è rimasto lontano dalla soglia dei 50 punti ma anche, soprattutto, dalle zone europee, alle quali i tifosi sognavano di avvicinarsi in questa stagione. Il lavoro di Paolo Vanoli tuttavia è stato sicuramente positivo ma i limiti della rosa hanno frenato le ambizioni dei granata: l'infortunio di Duvan Zapata ha inevitabilmente portato a ricalibrare la stagione verso il basso, vista l'assenza di un sostituto in grado di colmare il vuoto lasciato dal colombiano dal punto di vista realizzativo.
Un finale di stagione fin troppo rinunciatario ha accentuato quella sensazione di appagamento da metà classifica che da anni tormenta il popolo granata.
Di Francesco ha sfiorato un miracolo giocandosi la permanenza in Serie A fino all'ultima giornata con una rosa oggettivamente tra le meno attrezzate del campionato e ritrovandosi a lottare da gennaio in avanti senza un punto di riferimento totale come Pohjanpalo. Ma con la forza delle idee, un gioco sempre propositivo e la crescita esponenziale di alcuni elementi (su tutti Nicolussi Caviglia, Idzes e Yeboah) il Venezia ha cercato di restare aggrappato alla massima serie fino alla fine. Non è bastato, e il motivo è probabilmente da ricercare proprio nella mancanza di un vero sostituto di Pohjanpalo, che nonostante la partenza a gennaio rimane il miglior marcatore stagionale dei lagunari.
Un campionato indecifrabile, iniziata con un incredibile 3-0 rifilato a quella che sarebbe poi diventata la squadra Campione d'Italia e conclusa con una salvezza aritmetica conquistata solo all'ultima giornata: nel mezzo un autunno disastroso, che aveva fatto saltare, seppur solo virtualmente, la panchina di Zanetti, ma anche una sterzata decisa nel 2025 che ha permesso all'Hellas di mettere fieno in cascina e costruire un tesoretto a cui aggrapparsi nel momento decisivo della stagione.
Non è stata un'annata particolarmente positiva, anche per quanto riguarda il gioco espresso, ma alla fine ciò che conta è aver evitato la retrocessione.