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Bellutti: "Discriminata da piccola, ho vinto due ori olimpici. Adesso lotto per la parità di genere"

Gazzetta

Riassumere Antonella Bellutti è impossibile. È più facile elencare: due ori olimpici in due specialità diverse del ciclismo su pista (inseguimento ad Atlanta, corsa a punti a Sydney), unica azzurra ad aver fatto parte della Nazionale di tre differenti federazioni (atletica, lasciata presto per un problema fisico dopo essere stata primatista italiana juniores nei 100 ostacoli, ciclismo e bob), unica ad aver partecipato sia alle Olimpiadi estive sia a quelle invernali. Ma anche adesso che ha 57 anni è difficile catalogarla. È stata insegnante, direttrice tecnica della pista azzurra, locandiera, candidata alla presidenza del Coni. "Odio le definizioni. Provo a dire quello che faccio in base al piacere che mi dà: prima di tutto scrivo, che è un modo per esprimermi e dire quello che penso, e rimanere ancorata allo sport; poi mi occupo di Assist, l’organizzazione che difende i diritti e la parità di genere nello sport; infine per l’Università di Verona mi occupo di doppia carriera, la possibilità per gli atleti di proseguire gli studi". 

Cambiare tanto è un vantaggio o ha un prezzo? 

"Quando una strada si chiude è un vantaggio trovare energie e risorse e visione per aprirne un’altra. Il prezzo è che devi ricominciare. E devi farlo tu: non è che passa il cambiamento e tu ci salti sopra". 

E all’idea di cambiare lo sport ha rinunciato? 

"È un mondo pieno di contraddizioni che vanno risolte con interventi radicali. Sì, ci ho rinunciato. Ma non bisognerebbe mai dire mai". 

Nel 2002 fu chiamata a fare le direttrice tecnica delle nazionali di ciclismo. Durò pochissimo. 

"Col presidente ne parlai, senza approfondire. Il giorno dopo sui giornali annunciò il mio incarico. Tentai per mesi di farmi fare un contratto, per regolarizzare la mia posizione, per niente chiara a fronte di tanta responsabilità, non avevo neanche un budget. Ero stata messa nel tritacarne per dimostrare la volontà di cambiamento della federazione, se c’ero io il problema delle pari opportunità era risolto. Dopo sei mesi scrissi una lettera aperta a Repubblica in cui prendevo la distanza da un ruolo mai stato veramente mio". 

Si sentì usata? 

"Assolutamente sì". 

Le donne trascinano lo sport italiano. Perché questo vuoto a livello tecnico e dirigenziale? 

"L’aspetto tecnico è conseguenza di quello dirigenziale. E i presidenti sono come i diamanti: per sempre". 

Qual è il primo problema dello sport in Italia? 

"La base, la pratica sportiva: è molto difficile fare sport se non sei nel meccanismo agonistico. Se lo sport non entra stabilmente nelle scuole e non diventa diritto di tutti abbiamo un problema. E l’agonismo funziona solo grazie all’enorme spesa per i gruppi sportivi militari. Il nostro è un modello rovesciato, con un’élite che ci costa molto e una base quasi sedentaria". 

Il primo ricordo delle sue Olimpiadi? 

"Sydney, rivincere dopo 4 anni travagliati. Emozione travolgente, ho pianto due giorni". 

Chiudere nel momento più alto è una meraviglia. 

"Avevo deciso prima, a prescindere dal risultato. Ma poi fu magico. Quelle volte in cui tutto va come dovrebbe, una sensazione di armonia che ti fa sentire parte dell’universo".

È vero che fu il giornalista Rai Franco Bragagna a proporle il bob a 2? 

"Mi chiamò per dirmi che stavano cercando un equipaggio che facesse parlare, l’altra era Gerda Weissensteiner, oro a Lillehammer nello slittino. Subito dissi di no, ma Gerda non mollava. Peccammo un po’ di presunzione, era l’esordio olimpico ma c’erano nazioni che il bob a 2 lo facevano da tantissimi anni. Andavamo in Coppa del Mondo e c’erano 50 equipaggi: gli altri avevano la pedana elettrica, noi arrivavamo col vecchio bob dei fratelli Huber, portato in giro col camion della frutta". 

Oggi i ragazzi non hanno paura di parlare di salute mentale. Fem Van Empel, un talento, ha lasciato il ciclismo a 23 anni perché non si divertiva più. 

"Adesso si può dire che uno sport iperspecializzante e iperprecoce è un modo di vivere che ti brucia e non ti lascia scampo". 

Ha presentato uno studio che rivela che il 77% delle atlete non ha un contratto nonostante un impegno di 10 mesi l’anno, e quasi una su due si sente discriminata. 

"Hanno risposto prevalentemente atlete di volley, basket, calcio e scherma, sport in cui le donne sono forti e le federazioni si presume più attente. Mi fa pensare che estendendo lo studio ad altre federazioni i risultati sarebbero anche peggiori". 

Si è mai sentita discriminata? 

"Sì, ho cominciato da piccola. Sono portatrice sana e serena di discriminazioni". 

Donna, di talento, lesbica, vegana. Lei è impegnativa.

"Assolutamente sì. E devo dire che ho sentito lo stigma più per l’essere vegana che per l’essere omosentimentale". 

I diritti delle donne sono in pericolo? 

"Sì, dobbiamo capire che niente resta immutabile, niente vale per sempre". 

Ha capito perché gli uomini uccidono le donne? 

"Sì, l’ho capito. Succede là dove le donne sono consapevoli di doversi autodeterminare. Dove il patriarcato è messo in crisi, la reazione è questa. E il patriarcato è ben radicato, la strada è ancora lunga, c’è bisogno di grandi strumenti culturali".