Quattro parole: "Ce la giochiamo dappertutto". Bastano per inquadrare Fabio Caserta, il successore di Moreno Longo al timone del Bari. Le ha lanciate a un tifoso che gli chiedeva lumi sul difficilissimo esordio di domenica sera in Coppa Italia in casa del Milan. È un combattente di razza il tecnico calabrese, 47 anni il 24 settembre, che ha lasciato alle spalle l’avventura di Catanzaro, per accettare la sfida con il Bari di Luigi De Laurentiis. "Con tutto il rispetto per le squadre che ho allenato in passato – confessa -, credo che il Bari sia il punto più alto della mia carriera. Per la storia del club, il calore e le esigenze del pubblico, per il San Nicola. A prescindere dalla categoria di appartenenza, Bari è una delle piazze più importanti d’Italia".
Un uomo del Sud che ha allenato quasi sempre al Sud. Più di uno slogan, non le pare?
"Per tante ragioni, allenare al Sud è più difficile che al Nord. Ma anche più stimolante. Però ho avuto la fortuna di vincere un campionato anche a Perugia, in un contesto molto caldo. Mi spiace solo che sia capitato nell’anno del Covid".
Ha vinto due volte la Serie C, è approdato altre due volte alle semifinali playoff di Serie B. Un tecnico ambizioso non può che puntare…
"Ogni giorno mi sveglio desiderando la Serie A. Ora ho un solo obiettivo: un grande campionato con il mio Bari".
Ha atteso fino a 28 anni per approdare da calciatore nel massimo campionato. Quanto è disposto a pazientare da tecnico?
"Vorrei arrivarci prima possibile. Anche se da allenatore è senza dubbio più difficile. La differenza si fa nella gestione delle risorse umane".
Chi è il suo collega-faro?
"Me ne sono capitati di bravi, ma faccio un solo nome: Antonio Conte. L’ho avuto pochi mesi nell’Atalanta. Era molto giovane ma aveva fatto già qualcosa di importante, proprio a Bari. Si vedeva che sarebbe diventato un top. Sempre sul pezzo, carico. Vive in modo viscerale la partita".
Dicono che lei ami il rischio. È vero?
"Il rischio non mi spaventa, nell’interpretazione di un match. Ma ho sempre condiviso le mie scelte, con squadra e collaboratori. Credo nel lavoro di gruppo".
Caserta e il Bari. Cosa insegue?
"Voglio un gruppo solido, unito. Che faccia tornare l’entusiasmo in una piazza affamata di calcio. Ma riesci a riempire lo stadio, solo attraverso fatti e prestazioni".
Sta per affrontare il sesto viaggio da tecnico tra i cadetti. È il torneo più affascinante e il più pericoloso del nostro calcio?
"Anche il più difficile. Spesso resta tutto in ballo fino agli ultimi 90’. Ciò che dici durante l’estate, sovente si rivela velleitario".
Vuole rischiare? Quali sono le sue favorite alla promozione?
"Apro una mano: Palermo, Modena e le tre retrocesse. Ma in campo non vanno i soldi. Non conta quanto hai speso, ma ciò che riesce a creare una squadra".
Dove colloca il Bari ai nastri di partenza?
"Siamo in costruzione, sappiamo di non essere completi. Ma non mi preoccupa, tante squadre ora sono incomplete. Mi importa far capire ai ragazzi ciò che voglio".
Quanto contano, invece, gli investimenti sul mercato?
"Il Palermo è fuori categoria, il Bari e le altre cercano di fare gli investimenti giusti. Ma, ne sono convinto, non sempre vince chi spende di più. Due anni fa il Bari non ha speso vagonate di soldi, eppure sfiorò la promozione di un nulla".
Cosa ha detto a Verreth quando è tornato a Bari, dopo aver perso il suo bambino?
"Gli è successo un fatto innaturale. Gli saremo sempre accanto, per qualsiasi cosa".
Sibilli e Partipilo sono due valori aggiunti?
"Premetto che ci sarà bisogno di tutti. Sono due calciatori che, sul piano qualitativo, hanno qualcosa più della media".