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Il figlio di Pietrangeli: "Le partite a calcio, Laver, le volanti per la Davis: vi racconto mio padre"

Gazzetta

"Raccontare mio padre è difficile, ma allo stesso tempo facile". Esordisce così Filippo Pietrangeli, in una telefonata dolorosa eppure liberatoria. Nelle ore del lutto, aprire il libro dei ricordi può distogliere l’attenzione dal senso di perdita e consentire, seppur fugacemente, un viaggio nel tempo. 

Filippo, com’era Nicola Pietrangeli in versione papà?

"Potrebbe sembrare strano, ma era un padre come gli altri. Ci ha voluto bene, ci ha cresciuto, non ci ha fatto mai mancare niente. Certo, era un papà ingombrante, nel senso buono del termine. Ci ha fatto vivere in un mondo totalmente diverso da quello di qualsiasi altro bambino. Quando girava il mondo, prima da giocatore poi da capitano della Davis, stava sempre fuori. Poi si è stabilito a Roma e noi abbiamo cominciato a condividere le sue passioni". 

Il tennis? 

"In realtà, noi figli abbiamo tutti praticato sport differenti. Io ho montato a cavallo, Marco ha giocato a football americano, Giorgio ha fatto surf". 

La classica ribellione al volere dei genitori? 

"Macché, lui ci ha sempre lasciati liberi di scegliere. Non ci ha mai spinti a giocare a tennis, anche perché il cognome era pesante…". 

Quali passioni avete condiviso, allora? 

"Giocavo con lui nella squadra di calcio della Canottieri Roma. Io terzino, lui a centrocampo, anche se nasceva centravanti. Disputavamo il Caravella, lo storico torneo tra circoli, e, vista l’amicizia col principe Alberto, si organizzavano anche partite contro la squadra del Principato di Monaco". 

Qualche battibecco in campo? 

"No no, però una volta abbiamo organizzato una puntata di Scherzi a parte. Io e mio fratello Marco facevamo finta di toccarci e cadevamo a terra, l’arbitro fischiava falli inesistenti, e papà si arrabbiava". 

Che ricordi ha di Nicola Pietrangeli giocatore? 

"Quando vinse il Roland Garros e gli Internazionali, io non ero ancora nato (Filippo è del 1963, ndr). Vidi in televisione la finale dei campionati italiani assoluti con Adriano Panatta". 

Bologna, 27 settembre 1970: quello fu una sorta di passaggio di testimone. 

"Adriano era molto presente a casa nostra. Il rapporto con mio padre fu subito improntato su continue gag, sin dal primo giorno che si conobbero. Ed è stato così fino alla fine. Battibeccarsi amichevolmente piaceva a entrambi: era un gioco". 

Come ha vissuto la vicenda della finale di Coppa Davis del 1976? Le proteste in Italia, le pressioni politiche per non giocare in Cile durante la dittatura di Pinochet e la determinazione di suo padre a portare comunque la squadra laggiù? 

"Io ero un adolescente: in famiglia fu un periodo abbastanza forte, avvertimmo anche noi che il clima non era affatto disteso. Con i miei fratelli notavamo sempre una volante della polizia o dei carabinieri parcheggiata sotto casa, 24 ore su 24. Qualche anno dopo, mio padre parlò di minacce ricevute in quelle settimane". 

Quali incontri ricorda con più piacere? 

"Noi figli mangiavamo pane e tennis: eravamo delle comparse all’interno di quel mondo. Una volta partecipai a un pranzo a Parigi con mio padre e Manolo Santana, cioè il giocatore che lo privò del terzo titolo consecutivo al Roland Garros ma che poi divenne un suo caro amico. Un altro grande rivale, Rod Laver, lo incontrai a Roma, quando papà gli consegnò la Racchetta d’oro. E poi McEnroe, Federer, Djokovic, Nadal…". 

E Lea Pericoli? 

"Era come una zia: la zia Lea. Ci voleva un mondo di bene, il rapporto con mio padre era speciale. Quando morì, piansi tanto". 

Lei ha finito per fare del tennis la sua professione. 

"Sono entrato nell’organizzazione degli Internazionali nel 1999. Ricordo un bellissimo viaggio con mio papà e mio figlio a San Diego, per assistere alla finale della Fed Cup 2010. Negli ultimi anni siamo stati molto vicini: a causa dei suoi acciacchi lo accompagnavo nelle trasferte. Ho avuto il privilegio di stargli accanto per il lavoro che svolgo, e di questo ringrazio la Fitp". 

C’eravate anche a Malaga. 

"Sì, nel 2023 fa abbiamo rivinto la Davis dopo 47 anni e lui era strafelice di poter alzare la coppa insieme ai ragazzi. Era fiero di loro". 

Qualche mese fa la morte prematura di Giorgio. 

"Una tragedia. In un anno e mezzo, ho perso mia madre, mio fratello e mio padre". 

In questi giorni il mondo del tennis sta rendendo tutti gli onori pubblici a un’icona di questo sport. Nessun post sui social da parte di Jannik Sinner, l’idolo dei nostri tempi. Dispiaciuto?

"Preferirei non rispondere".