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Pietrangeli, dalle 9 la camera ardente nello stadio che porta il suo nome

Gazzetta

Era già tutto previsto. E lui, orgogliosissimo del fatto che gli avessero dedicato un’arena per il tennis quand’era ancora in vita, aveva pianificato per tempo ogni dettaglio: "Il mio funerale, fra mille anni, si farà allo Stadio Pietrangeli. Innanzitutto, perché c’è parcheggio, poi perché ci sono tremila posti a sedere. Mi dispiace che non potrò assistere, per vedere chi viene e chi non viene. In caso piovesse potremmo rimandare, mettendo la bara nel sottopassaggio. La musica la sto ancora decidendo, anche se “My way” all’uscita non sarebbe male". 

Una vita a modo suo. Sempre. Anche nel triste giorno dell’addio, quello che consegnerà definitivamente Nicola Pietrangeli al paradiso delle leggende. La camera ardente, allestita appunto nel campo del Foro Italico a lui intitolato, verrà aperta alle 9, con accesso da via dei Gladiatori o da via delle Olimpiadi: sarà possibile attraversare la galleria dei campioni che porta direttamente allo Stadio. Accanto al feretro, e non poteva essere altrimenti per chi dell’Insalatiera più famosa dello sport fece una ragione di vita agonistica, brillerà la Coppa Davis appena conquistata dall’Italia di capitan Filippo Volandri, la terza consecutiva di questo ciclo magico e la quarta della nostra storia dopo lo storico trionfo di Santiago del Cile del 1976, l’impresa più grande del Pietrangeli uomo e condottiero. A mezzogiorno verrà letto un brano della sua autobiografia, che non a caso si intitola proprio "Se piove, rimandiamo", e a seguire il presidente della Fitp Angelo Binaghi lo ricorderà con un breve discorso commemorativo (diretta su SuperTennis). Alle 14 verranno chiusi gli accessi allo Stadio e alle 15, nella Chiesa di Santa Maria della Gran Madre di Dio a Ponte Milvio, verrà celebrato il funerale, in forma privata come da richiesta della famiglia. L’ultimo saluto sotto quello spicchio di cielo romano che ne ha ammirato per 22 anni, tante sono state le sue partecipazioni agli Internazionali, le meravigliose gesta tennistiche. 

Perché Nicola nacque a Tunisi cittadino del mondo, nipote di un muratore partito dall’Aquila e figlio di un imprenditore poliglotta, mentre dalla madre Anna, di radici russe e danesi, avrebbe pure ereditato il titolo di conte Chirinsky. Durante la II Guerra Mondiale la casa africana viene rasa al suolo dai bombardamenti e con il padre e il nonno Pietrangeli si trasferisce prima a Palermo e poi risale verso Roma. La Città Eterna si evolve così nel suo luogo del cuore, nel suo giardino dell’Eden. E quando si scopre tennista di livello mondiale, lo Stadio della Pallacorda, cioè il campo più importante degli Internazionali, si trasforma nella sua arena prediletta. Con le tribune di marmo di Carrara sotto il livello del camminamento e le 18 statue raffiguranti atleti olimpici a farle da corona, è iconica fin da quando viene inaugurata nel 1934, guarda caso con un incontro di Coppa Davis tra Italia e Svizzera. Dall’anno successivo, con il trasferimento da Milano, diventa la sede del torneo, ed è lì che nel 1957 Nick coglie il primo trionfale successo della carriera, battendo in finale Beppe Merlo, considerato l’inventore del rovescio bimane, con il punteggio di 8-6 6-2 6-4. Dodici mesi dopo, invece, sempre in finale, deve invece inchinarsi in cinque set al mancino australiano Mervyn Rose. Ma quelle atmosfere fatate ormai gli hanno catturato il cuore, tanto che quando si parla di trasferire provvisoriamente gli Internazionali per ampliarne la visibilità sportiva, dirà chiaramente che preferirebbe "saltare un anno che giocare lontano da Roma". Negli Anni 90, però, il Pallacorda è troppo piccolo per contenere la crescente passione popolare per il tennis, e perciò pochi metri più in là si costruisce un nuovo Centrale. 

Tuttavia quel posto magico resta indubbiamente il sito più simbolico e affascinante di tutto il Foro Italico, quello che si porta dietro le memorie immortali, ed è in quel contesto che nel 2006 si decide di intitolarlo al Mito del tennis italiano: "Mi ricordo quando Gianni Petrucci, presidente del Coni e Angelo Binaghi, presidente della Federtennis, mi chiamarono per dirmi che mi stavano facendo “un regalo” — raccontò in un’intervista — e chiesi loro perché non mi intitolassero il Centrale, appena costruito. Mi spiegarono che il nuovo campo per le leggi paesaggistiche si poteva buttare giù, mentre quello dei Marmi è monumento nazionale e non si può toccare. Io sono l’unico vivo che ha una cosa intitolata a suo nome. Il perché non lo so. In Italia non c’è uno che ha una fontana, una strada: solo io". A modo suo. Il motto di una vita.