Error code: %{errorCode}

Cretti: "Sono viva perché i medici non si arresero. Ora voglio l'oro alle Paralimpiadi"

Gazzetta

Essere nel bel mezzo della seconda vita ancor prima di avere compiuto trent’anni: non è un paradosso se ti chiami Claudia Cretti, se hai visto la morte in faccia, se ti sei finalmente messa alle spalle buio e paura per scorgere davanti a te nuovi orizzonti di gloria. La porta scorrevole di questa talentuosa bergamasca innamorata della bici ha una data, il 6 luglio 2017, una corsa, il Giro d’Italia, e un posto dal nome sinistro, la discesa della “Zingara morta” vicino a Fragneto Monforte (Benevento) nella settima tappa. "Ho perso il controllo della bici a 90 all’ora. Solo un miracolo, e la bravura dei medici dell’ospedale 'Rummo' di Benevento, hanno scongiurato il peggio, dopo due operazioni alla testa e tre settimane di coma". Ora Claudia Cretti, che fa parte delle Fiamme Azzurre e della Top Girls Fassa Bortolo, è una stella del paraciclismo, fortissima: è reduce da 4 ori in pista ai Mondiali di Rio de Janeiro (si è concessa, per festeggiare, una vacanza itinerante in Marocco con il fidanzato), e non passa giorno che non pensi alle Paralimpiadi di Los Angeles 2028. 

Claudia, anzitutto: ricorda qualcosa dell’incidente? 

"Sia di quel giorno sia del giorno prima, niente. Zero. E forse questa è stata la mia fortuna. Invece delle tappe precedenti, tutto: la cronoscalata nelle Marche, e l’ottavo posto in volata a Occhiobello quando erano venuti a vedermi nonno, nonna, mamma e papà. Per risalire in bici c’è voluto tempo, e fatica. Ma posso già dire che ne è valsa la pena". 

Ha faticato a realizzare quanto accaduto? 

"Sì. A casa, dopo l’incidente, sono tornata a ottobre. La mia passione era rimasta la bici, chiedevo ai miei genitori Laura e Giuseppe quando avrei potuto ricominciare ad andarci. Risposta 'Claudia, sei caduta al Giro d’Italia'. E io 'Ma che cosa state dicendo'. Il mio idolo era il velocista tedesco Marcel Kittel, per la bici avevo sacrificato il sogno di diventare un medico". 

E il nuovo inizio? 

"Pedalavo con mio fratello, con papà. Ma poco: quindici, venti minuti. Mi chiedevo perché non facessi di più, che tipo di allenamento fosse. Ho aumentato un pochino, ma dopo un po’ ho domandato quando sarebbe arrivato di nuovo il momento delle gare". 

Poi? 

"Sono di Costa Volpino e mi è capitato di andare non lontano da casa, a Darfo Boario Terme, mi sembra fosse il 2018, a vedere i tricolori di paraciclismo. Molti conoscevano la mia storia e mi hanno invitato a unirmi a quel mondo. 'Ma io non sono sulla sedia a rotelle', la mia prima risposta. Però poi mamma mi ha portato dal medico, per capire in che ambito potessi proseguire la mia carriera. La mia disabilità è quella che deriva dall’avere subito un serio trauma cranico, in pratica. Categoria C5". 

Alex Zanardi continua a essere un modello per lei? 

"Sì, certo. L’avevo conosciuto prima del mio incidente, a Roma. Una sua frase simbolo era 'Non guardare la metà che non hai, ma quella che ti è rimasta'. Così il mio motto è diventato 'Fai il meglio che puoi con quello che hai'". 

Ai recenti Mondiali di paraciclismo di Rio, l’Italia ha conquistato quattro medaglie d’oro (oltre a due d’argento e una di bronzo): tutte sue... 

"Eliminazione, velocità, scratch. E chilometro da fermo, con il nuovo record mondiale in 1’12”028. Ma lo considero un punto di partenza, non certo di arrivo". 

Altri esempi, o modelli? 

"Mi ha colpito molto il film su Ayrton Senna. E poi, devo dire Francesca Porcellato, che ha una forza incredibile e considero come una seconda mamma. Ha partecipato tante volte ai Giochi paralimpici estivi e pure a quelli invernali, vincendo tantissimo nel ciclismo e non solo. C’era già a Seul 1988 e Barcellona 1992, quando io non ero ancora nata...".

È vero che il ct del paraciclismo Pierpaolo Addesi le aveva predetto da subito un grande futuro? 

"Sì. All’inizio di questa nuova avventura, non mi conoscevo personalmente. E neppure avevo cognizione delle avversarie. Lui tre anni fa mi disse: 'Se ti impegni e ascolti quello che ti dico, puoi vincere tutto'. All’inizio, mi sottovalutavo. Ma quando ho cominciato a seguirlo davvero, lui e l’altro tecnico Fabio Masotti, e a credere di più in me stessa, ho iniziato a vincere". 

Per questo ha tatuato sull’avambraccio sinistro la frase latina “Ad maiora”? 

"Non è un caso, mi ci riconosco molto. E sulla spalla destra ho il simbolo delle Paralimpiadi con scritto Paris 2024: è chiaro che nel 2028 vorrò aggiungere Los Angeles, sto lavorando per ottenere grandi risultati in pista e su strada. Sono riuscita anche a dimagrire, e a farlo nel modo giusto".

C’è una morale, o un insegnamento da trarre nel suo percorso? 

"Spero che la mia storia serva da esempio, nel senso che le cose che ami vanno portate avanti finché si può. Lottando. Credendoci. Superando ostacoli. Non smetterò di pedalare a breve, perché nel ciclismo c’è tutto ciò che amo". 

Oltre alla bici, che cosa? 

"Viaggiare, leggere, ascoltare musica. Faccio le gare in giro per il mondo, quando mi muovo sento le mie canzoni preferite, e prima delle corse mi carico con gli AC/DC. Nel tempo libero, ecco i libri. Di tutto. Amo Ken Follett, ho finito da poco Alice nel Paese delle Meraviglie, il Codice Da Vinci di Dan Brown. Il ciclismo racchiude pure tutto questo. Ed è magnifico".